Sala 1: Oscilla e Astragali

di Chiara Santone

(Si ringrazia per i contenuti presentati, tratti dalla rivista Archeomolise - Luglio / Settembre 2012 - N°12 - Anno IV - a cura di Gabriella di Rocco)

Tra i numerosi reperti presenti nella sezione romana dello splendido Museo di Baranello, il visitatore potrà ammirare una nutrita serie di categorie di manufatti che vanno dagli ex-voto religiosi alle antefisse, dai gocciolatoi alle lucerne, dai vasi alle statuette di diversa fattura e qualità. In questa straordinaria messe di oggetti della vita quotidiana hanno carpito l’attenzione di chi scrive due classi di materiali che non sempre hanno avuto da parte degli studiosi e degli appassionati la giusta attenzione che forse meritano: gli oscilla e gli astragali.

Le maschere oscillanti 

“nec non Ausonii, Troia gens missa, coloni versibus incomptis ludunt risuque soluto, oraque corticibus sumunt orrenda cavatis, et te, Bacche, vocant per carmina laeta, tibique oscilla ex alta suspendunt mollia pinu.” (Virgilio, Georgica, II, 385-389). 

“ E i contadini si divertono con versi rozzi e riso sfrenato e indossano paurose maschere di corteccia incavata e invocano te, o Bacco, con canti gioiosi e per te sospendono oscilla sugli alti rami del pino”.

Con il termine oscillum Virgilio indicava propriamente una mascherina che veniva appesa agli alberi, in onore di Bacco, perché oscillasse: in questo modo i campi restavano sottoposti alla protezione del dio; in senso lato il termine è passato ad indicare dischi e maschere sospesi tra le colonne dei portici delle città e nei peristili delle case con uso apotropaico. L’uso di appendere maschere agli alberi era praticato già dai greci ed aveva carattere rituale e magico, legato al culto di Dioniso e di altre divinità. In verità in origine ad essere sospese agli alberi erano le teste delle vittime sacrificate che vennero poi sostituite da imitazioni in legno, in terracotta e in altri materiali che raffiguravano anche immagini divine. Fatte oscillare, sulla base del loro movimento se ne traevano auspici per la fertilità dei campi. Ad Atene nel momento dell’estate quando le uve cominciavano a rosseggiare, si celebravano le feste delle Aiorai (festa delle altalene) durante le quali si usava sospendere agli alberi delle corde su cui venivano poste delle bambole; su un vaso trovato a Chiusi, ora conservato a Berlino, è raffigurata una scena che presenta appunto un’altalena fatta oscillare da un satiro.

Pompei, casa del bracciale d'oro, Museo Civico di Baranello

Questa festa aveva forti connotazioni agricole ed era finalizzata a propiziare un abbondante raccolto, simboleggiato dall’albero, emblema della fertilità e della vita, e dal banchetto finale nel quale veniva distribuito cibo soprattutto ai poveri. Si sottolinea anche la connessione con Dioniso nella cerimonia delle altalene, come chiaramente dimostrano le rappresentazioni figurate. Gli oscilla usati nel mondo romano mantennero inizialmente il significato propiziatorio connesso con le prerogative fertilizzanti delle altalene greche. In un secondo momento si passò ad appendere dischi oscillanti negli edifici, dimenticandone il carattere rituale e magico e la funzione degli oscilla ebbe prevalentemente carattere decorativo.

Nelle città vesuviane, soprattutto Pompei, sono innumerevoli gli oscilla di marmo, decorati con soggetti di vario genere tra i quali prevalgono, non a caso, i miti dionisiaci e le maschere, anch’esse collegate a Dioniso; la fattura di taluni di essi è davvero eccezionale, rivelando, in questo, anche il gusto elevato e la disponibilità economica dei proprietari delle case nelle quali venivano sospesi. Dell’uso e della posizione di questi oscilla nelle case pompeiane, soprattutto nei giardini, sono efficace testimonianza i dipinti parietali, come ad esempio l’affresco del triclinio della Casa del Bracciale d’Oro che mostra
un giardino inquadrato in una incannucciata su cui pende, dall’alto, un oscillum circolare.

Le forme degli oscilla

Le forme degli oscilla sono svariate; pur restando quella circolare la più diffusa, se ne trovano rettangolari, a forma di pelta, ovoidali. A lungo gli studiosi hanno dibattuto sul significato di questi oggetti. All’inizio essi erano maggiormente impressionati dai temi in essi rappresentati, che dalla loro forma ed erano portati a interpretare questi manufatti come oggetti religiosi, suggestionati dal passaggio presente nelle Georgiche di Virgilio (vedi supra) che li attribuiva al culto bacchico. Successivamente ha prevalso la teoria per cui essi avrebbero un uso eminentemente decorativo, comprovato dai numerosi ritrovamenti in edifici abitativi, effettuati durante gli scavi di Pompei ed Ercolano. Rilievi scultorei marmorei simili a quelli provenienti da Pompei e da Ercolano sono stati trovati ovunque in Italia, in Francia, in Spagna, in Nord Africa; sono meno comuni nelle province orientali. Il problema che ha caratterizzato lo studio di questi materiali è il fatto che in un solo caso, quello di Pompei appunto, maschere, tondi, peltae, pinakes e fistulae, sono stati analizzati come facenti parte dello stesso gruppo e questo perché l’eruzione del Vesuvio e la conseguente conservazione della città hanno evitato la loro dispersione, evidenziando il loro univoco uso come ornamenti decorativi di case e monumenti pubblici.  L’uguaglianza formale di questi reperti è dimostrata anche dall’essenziale unitarietà dell’intero corpo dei materiali, data dall’uso dei medesimi mezzi stilistici, dalle identiche modalità di sospensione e dallo sviluppo di scale simili che, evidentemente, si riferiscono ad una origine comune di tutta la serie di oggetti; purtroppo le caratteristiche stilistiche ora citate sono state applicate solo ai rilevi escludendo a priori la classe delle maschere. La caratteristica unità di questa classe di marmi decorativi appare evanescente quando la storia e l’evoluzione dei tipi che la compongono vengono studiate separatamente. Infatti il materiale disponibile è risultato tutt’altro che omogeneo e questo a causa di edizioni preliminari e ormai datate e a causa dello scarso interesse che questi materiali hanno rivestito in ambiente scientifico. diverso valore alle combinazioni derivate dal loro lancio simultaneo era sicuramente la più comune (pleistobolinda). Dalla diversa caduta dei quattro astragali nascevano ben 35 diverse combinazioni, aventi ciascuna il proprio nome. Il lancio peggiore era costituito dalla caduta degli astragali con tutte e quattro le facce corrispondenti al valore 1 (combinazione del cane, κύων, canis); la migliore, quella di Venere (iactus Veneris) che si realizzava quando si presentavano ognuno con una faccia diversa. Rispetto al gioco dei dadi in cui basta sommare il valore delle singole facce, quello con gli astragali presupponeva la conoscenza di regole complicate, applicabili alle singole combinazioni. Numerose sono le rappresentazioni di questo gioco sia nella statuaria e sulla coroplastica sia sulla produzione vascolare in cui sono raffigurate spesso scene di astragalizontes (giocatori di astragali). L’opera che abbiamo scelto come prova esempliicativa è un piccolo gruppo di astragalizousai conservato al British Musem di Londra. Sopra un’alta base rettangolare sono accoccolate due igure femminili, affrontate in posizione speculare (Fig. 5). ->
Inv. 299. Baranello, Museo Civico, vetrina XXVII. Ø cm. 7; spessore cm. 1,5. Argilla giallina; matrice logora. Tracce di colore rosso tra i raggi. III-I secolo a.C. Probabile produzione tarantina.
La figura di sinistra, con i capelli sciolti sulle spalle, fermati in alto da una sorta di piccolo diadema, è avvolta strettamente in un mantello; la compagna indossa invece soltanto un chitone e ha i capelli raccolti in una cufia. Il documento è molto importante, perché sostanzialmente è l’unico gruppo plastico conservato integro che rappresenti giocatori di astragali e che il gioco praticato dalle due donna sia proprio quello fatto con gli ossicini, non è deducibile solo dalla caratteristica posizione delle igure: fortunatamente, infatti, si conservano anche gli astragali, che entrambe le fanciulle stringono nella mano sinistra. La igura di sinistra deve avere appena effettuato il lancio, poiché il braccio destro è teso verso il basso, e la compagna, con la mano destra alzata, è pronta per gettare a sua volta l’astragalo, ben visibile tra le dita. Il gioco rappresentato è sicuramente quello della pleistobolinda, per la chiara posizione delle mani delle igure. In un importante ricerca et – nologica su questo tema, lo studioso Gehrard Rohlfs, ha rimarcato come notevoli siano le corrispondenze riscontrate nelle denomina – zioni del gioco e nelle combinazioni tra i po – poli del sud Europa. Attraverso il medioevo, la passione per questa attività si è conservata fino ai giorni nostri; in Salento e in Calabria era ancora praticato negli anni ‘70 come eredità pervenuta dalla Magna Grecia. A testimonianza di questa continuità tra antico e moderno ci viene in soccorso G. D’Annunzio che nell’Alcyone scrive: “Bada; Non aliossi pel tuo gioco ma ho in serbo per te, schiavo ribelle, una sferza di cuoio paflagone”.

Giuseppe Barone

“…mi auguro che i nostri giovani, animati dall’esempio di coloro che ebbero a cuore il pubblico benessere, se ne interessino al par di loro, ricordandosi che il vero cittadino è quello che ama la sua patria e che desidera tutti i suoi concittadini virtuosi felici e difesi, contribuendo con parte di se e della sua vita al beneficio degli altri...”

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