La pinacoteca

di Michelangelo Carozza, Giuseppina Rescigno, Tommaso Evangelista (Si ringrazia per i contenuti qui presentati, tratti dalla rivista Archeomolise, Luglio / Settembre 2012 – N°12 – Anno IV – a cura di Gabriella di Rocco)
La quadreria del Museo di Baranello è costituita da opere di varia epoca e scuola, molte delle quali restaurate di recente a cura della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise. In basso un riepilogo di tutte le opere.
la collezione capolavoro

La Sant’Agata (1), riconoscibile dai seni che portano i segni del martirio, è databile alla seconda metà del XVIII secolo. L’impostazione monumentale della Santa, accentuata dalla visione in scorcio dal basso, la vivacità delle tinte e gli effetti chiaroscurali riconducono il dipinto a un pittore napoletano stilisticamente vicino a Francesco Solimena e Francesco De Mura.

La piccola tela raffigurante la Danae(2), copia del celebre quadro di Tiziano (Museo di Capodimonte, Napoli), è opera napoletana da riferire alla fine del seicento e gli inizi del settecento, periodo in cui nella capitale del regno si diffonde l’uso di realizzare copie da artisti del cinquecento veneziano. Nel dipinto è rappresentato l’episodio, tratto dalle “Metamorfosi” di Ovidio, dell’unione tra Danae e Giove nelle sembianze di pioggia d’oro.

 

pinacoteca barone

L’icona raffigurante il Transito della Madonna (3), si inserisce nella produzione tarda della scuola veneto-cretese. L’opera si caratterizza per la presenza di elementi arcaicizzanti, quali la rigorosa e rigida simmetria della composizione, a cui vanno ad affiancarsi aperture “moderne”, rintracciabili nella morbidezza dei volti degli angeli e nella resa diversificata delle loro vesti. La particolare iconografia, che si discosta da quella consueta della Dormitio Virginis, priva delle figure di Cristo e di Pietro e Paolo, conferma una datazione avanzata dell’opera tra il XVIII e il XIX secolo.

Giovanni Serritelli (1809-1874) è l’autore del dipinto raffigurante la battaglia navale di Lissa (4), combattuta il 20 luglio 1866 nei pressi dell’isola dalmata tra le navi della marina dell’Impero austriaco e quella del Regno d’Italia. L’artista si formò a Napoli, ove fu allievo dell’olandese Anton Sminck van Pitloo e sotto la sua guida frequentò la scuola di Posillipo che dette un nuovo impulso, a livello internazionale, alle rappresentazioni delle vedute marine. Accanto alla resa minuziosa dei dettagli e degli effetti luministici, nell’opera è evidente un’esaltazione del sentimento patriottico che risente del recente clima postunitario.

mangiatore di prosciutto museo di baranello

Le due piccole scene di genere con animali da cortile (5-6), su fondo paesaggistico richiamano la tradizione della natura morta napoletana seicentesca, i cui capofila furono Giovan Battista Ruoppolo e Giuseppe Recco. Le tele, da riferire probabilmente allo stesso artista, si discostano nella resa pittorica e formale dalla tradizione seicentesca, tanto da suggerire una datazione alla prima metà del XVIII secolo.

Il dipinto su rame raffigurante la Madonna con Gesù e San Giovannino (7), databile alla seconda metà del XVII secolo, viene attribuito da Barone ad Andrea Vaccaro (1604-1670) che, al di là dell’autografia dell’opra, è sicuramente il riferimento principale per il pittore di questa tela.

Ad un artista napoletano è da riferire la Madonna con bambino (8); il dipinto ripropone uno schema figurativo tipicamente cinquecentesco e riprende un motivo compositivo ed iconografico ispirato a modelli di Raffaello. L’esecuzione su rame consente di datare l’opera tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento.

Il dipinto raffigurante un raccolto e affettuoso colloquio tra San Giuseppe e il Bambino (9) si inserisce nel solco della tradizione della pittura sacra napoletana di fine Seicento – prima metà del Settecento tracciato da Luca Giordano e Francesco Solimena. La chiarezza dell’impianto compositivo, la compostezza formale, il sottile intimismo, la resa luminosa e la tenue gamma cromatica inducono ad atrribuire l’opera a Francesco De Mura (1696-1782), allievo del Solimena. Il dipinto potrebbe essere stato realizzato dal pittore napoletano dopo la sua esperienza torinese, a contatto con l’ambiente internazionale, e rococò della corte sabauda, per la quale lavorò nei primi anni quaranta del XVIII secolo.

 

La Madonna del Divino Amore (10), copia del celebre quadro che la critica attribuisce sia a Raffaello che all’allievo Giovan Francesco Penni detto il Fattore (Museo di Capodimonte, Napoli) è un dipinto da riferire a un pittore di buon livello legato all’ambiente artistico meridionale di pieno Settecento. La Madonna sorregge sulle ginocchia il bambino che benedice San Giovannino; a lato è la figura si Santa Elisabetta, mentre in secondo piano si intravede quella di San Giuseppe che assiste in disparte alla scena. Sulla sfondo, invece, si apre un ampio paesaggio.

Il dipinto intitolato da Barone Marina: veduta del porto(11), riferibile a un artista attivo tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, rientra nell’ambito della produzione di pittura del paesaggio affermatasi nell’ambiente partenopeo già nel corso del Seicento. I soggetti di tale produzione sono in genere vedute ideali di marine, animate da piccole figure che con la loro presenza segnano un paesaggio immerso in un’atmosfera di quiete. La scena qui raffigurata è caratterizzata dalla presenza di un’antica torre sulla destra, circondata da piccole abitazioni e da una nave in porto sulla sinistra.

La Scena pastorale (12) è attribuita dal Barone a Giuseppe Tassone (1645-1737), pittore di origini romane attivo a Napoli, specializzato nella realizzazione di scene di genere arricchite dalla presenza di ovini e bovini. L’attenzione al mondo animale è evidente anche nel dipinto della collezione Barone, in cui il paesaggio è appena sbozzato sullo sfondo e lo stesso pastore occupa un ruolo marginale rispetto al gruppo di capre, vere protagoniste della scena, rese con ampie e corpose pennellate, che illuminano con sprazzi di luce i candidi manti.

Il dipinto intitolato Osteria di campagna con cavalieri (13) raffigura una scena di genere ambientata all’aperto, nei pressi di una locanda, davanti alla quale si intrattengono personaggi di vario tipo, dai cavalieri a donne con bambini. Il soggetto e alcuni elementi figurativi, come la tipologia dell’edificio raffigurato, rimandano alla produzione di genere di provenienza fiamminga, riproposta dall’autore su un supporto di rame con risultati di buona qualità tecnica e formale. L’opera è databile tra la fine del Seicento e gli inizi del secolo successivo.

Battaglia navale di Lissa

La piccola opera raffigurante la Madonna (14) mostra l’immagine della Vergine a mezzo busto, con il volto incorniciato da un doppio velo e lo sguardo rivolto verso il basso. La tipo- logia del soggetto e le misure del quadro fanno pensare a un dipinto destinato al culto priva- to, la cui datazione è da porsi nell’ambito della produzione seicentesca.

Lo stesso discorso vale per il vicino Ecce Homo (15), dipinto appartenente alla serie di opere presenti nel Museo realizzate a olio su rame. Il soggetto raffigurato, Cristo sofferen- te ritratto a mezzo busto con la corona di spi- ne e la canna tra le mani incrociate in primo piano, rappresenta una tipologia iconografica abbastanza diffusa nella pittura di devozione, in questo caso resa con un linguaggio pittorico semplificato, che pone anche quest’opera, del- le stesse dimensioni della precedente, nell’am- bito della produzione seicentesca destinata al culto domestico.

Il quadro, che occupa per importanza e per collocazione un posto centrale nella collezio- ne dei dipinti del Museo, è il San Paolo Ere- mita (16) attribuito dal Barone a Francesco Fracanzano (1612-1656), artista pugliese al- lievo di Jusepe de Ribera. I rimandi all’opera riberesca sono chiari ed evidenti sia nella resa pittorica e formale che nella scelta iconogra- fica e compositiva. Il dipinto, infatti, si inse- risce in una serie di opere di soggetto simile (un santo eremita raffigurato a mezzo busto, in atto di preghiera, dietro uno sperone di roccia e davanti a uno sfondo privo di aperture pae- saggistiche) tutte aventi come modello figura- tivo il S. Onofrio di Ribera conservato presso il Museo dell’Ermitage a San Pietroburgo. Il rimando comune alla maniera del pittore spa- gnolo è presente anche nella resa pittorica del dipinto, nella stesura di un impasto denso e corposo, dato per pennellate vigorose e decise, accese da bagliori di luce che sottolineano i tratti salienti del volto e delle mani.

Il dipinto raffigurante Maria Vergine bambina tra angeli e Santi (17) presenta in basso

  1. Gaetano da Thiene e un santo francescano che accompagnano lo sguardo del devoto ver- so l’immagine di Maria Bambina, rappresenta- ta con i simboli dell’Immacolata, tra S. Anna,
  2. Gioacchino e S. Giuseppe. L’opera presenta i tratti tipici della pittura devozionale napo- letana di metà Settecento a cui Paolo de Majo (1703-1784), possibile autore, appartiene: una composizione semplice e pulita, l’utilizzo di colori chiari e luminosi, la presenza di perso- naggi ben distinti e riconoscibili. Allievo del Solimena, de Majo fu autore di immagini sacre immerse in tonalità atmosferiche chiare, de- stinate alla diffusione del culto mariano.

Il Bosco di Fontainebleau (18), dipinto fir- mato da Giuseppe Palizzi (1812-1888) e datato 1848, è esempio dei meriti artistici del pittore che, con il fratello Filippo, fu uno dei principa- li interpreti italiani della pittura di paesaggio nel secondo Ottocento. La tavola rappresenta una testimonianza preziosa, poiché rara, della produzione giovanile e dell’inizio del soggior- no del pittore a Parigi. La particolare sensibi- lità agli effetti della luce, la stesura del colore attraverso tocchi rapidi e sommari e l’uso di una materia coloristica dall’impasto ricco e dal tono intenso, sono tratti salienti della per- sonalità artistica del Palizzi presenti anche nel dipinto di Baranello, che si distingue dal resto della sua produzione per l’utilizzo del suppor- to ligneo.

Il Ritratto di monsignor Giuliano Della Rovere (19) è copia del dipinto realizzato da Federico Barocci intorno al 1595 e conservato presso il Kunsthistorisches Museum di Vien- na. Il monsignore è ritratto a tre quarti di fi- gura, nella sua casa di Fossombrone, in una stanza piena di libri, seduto su una savonarola, mentre sfoglia un grosso libro con la mano de- stra. A parte alcune piccole differenze di colori e oggetti raffigurati, il dipinto di Baranello mostra, rispetto all’originale, una grande ca- pacità da parte dell’autore di riproporne l’in- trospezione psicologica e la naturalezza nella resa della figura.

Il Mangiatore di prosciutto (20) rientra, per soggetto ed elementi formali, nella tra- dizione della pittura di genere che in ambito meridionale si afferma dalla metà del Seicen- to, sulla scia della pittura nordeuropea. In particolare il dipinto in questione pare essere una copia di un’incisione dell’artista olandese Cornelius Bloemaert, datata 1625. La scelta del

soggetto mostra un forte gusto per gli aspetti più grotteschi e deformi del genere umano che l’artista rende attraverso un’analisi spietata e quasi caricaturale dei tratti fisionomici e un forte realismo stilistico.

La Maddalena penitente in estasi (21) vie- ne attribuita, tramite analisi stilistica, vicen- devolmente a Paolo de Matteis (1662-1728) o a Sebastiano Conca (1680-1764). Di certo l’o- pera si colloca nell’ambiente partenopeo degli inizi del XVIII, quando l’impeto barocco pare affievolirsi per lasciare il posto a soluzioni compositive più solide ed eleganti, non prive comunque di raffinati accordi cromatici e lu- ministici. La composizione, che vede la Santa in primo piano sorretta da due angeli, annulla l’evento per fornire un’immagine devozionale, iconica e classica allo stesso tempo, dalla quale emerge sopratutto una forte carica patetica e sentimentale, esaltata dai tenui contrasti tra i morbidi incarnati e la matericità delle stoffe e dei capelli.

L’Assunzione della Vergine (22) è un’opera, senza attribuzione, da ritenersi comunque di ambito meridionale per la vicinanza, sul piano compositivo, con i moduli e gli impianti del Solimena. Settecentesca e di buona qualità artistica, moderatamente classica nell’impo- stazione, ha i suoi punti di forza nella nitidez- za del disegno e nelle morbide campiture di colore che conferiscono all’evento sacro una delicata luminosità. Si evidenziano gli equi- librati accordi cromatici, l’aerea vaporosità delle nuvole e il volto estatico e delicato della Madonna.

Interessante è la piccola Marina (23). Il di- pinto, di anonimo dell’Italia meridionale, da- tabile tra fine XVII e inizi del XVIII secolo, si colloca nel genere delle marine seicentesche. E’ raffigurato un paesaggio a metà strada tra capriccio, veduta ideale e “veduta esatta”: in primo piano figure di pescatori animano il molo mentre diverse barche solcano il mare; sullo sfondo, davanti ad un promontorio, una cittadina portuale sfuma nella bruma; il cielo sembra preannunciare una tempesta. Il tutto è reso con tocchi veloci di colore e con uno spic- cato gusto per il pittoresco e l’aneddotico. Con il Ritratto di Gentiluomo (24)   ci troviamo di fronte ad un’opera, di buon livello, raffigu- rante un uomo dall’aspetto giovane e raffina- to che regge un compasso mentre mostra con orgoglio una pergamena con disegni di piante; la presenza di questi attributi lo configurano, data la giovane età, come uno studente e/o studioso di architettura. Dall’abbigliamento dell’uomo e da analisi stilistiche si può datare la tela al XVIII secolo che, seppur di ambito napoletano, mostra ascendenze inglesi. A li- vello stilistico si segnala il riuscito contrasto tra il blu del mantello, il rosso del vestito e il bianco del foulard e le lievi e veloci pennellate che fanno emergere la figura dallo sfondo scu- ro.

L’Adorazione dei pastori (25), un dipinto del secondo quarto del XVI secolo, è da ac- costare all’ambiente emiliano per caratteri stilistici assimilabili alla maniera del Parmi- gianino, in particolare per quanto concerne la sperimentazione della forma allungata e ser- pentinata. La scena, scorciata dal basso, ha il suo centro reale e simbolico nel Bambino dal quale prorompe una luce divina che illumina l’umile mangiatoia e le figure dei pastori col- ti in controluce. Sullo sfondo sono raffigurati una teoria di angeli festanti e particolari di un edificio monumentale classico. L’opera, come appare evidente dallo sdoppiamento del volto del giovane in primo piano, risulta non finita.

La bottega del pittore (26), acquerello su carta, presenta caratteri tipici della produzio- ne pittorica nordica della metà del XVIII, ma è da attribuirsi ad un pittore ottocentesco che ripropone, in piccolo formato, scene di gene- re e soggetti minori sull’esempio dei maestri tedeschi. L’opera mostra una certa freschezza nel tocco e nella campitura cromatica. Il sog- getto, ambientato nell’umile interno di un ate-lier ricco di gessi e disegni, è giocato sul con- trasto tra l’anziano e umile pittore che osserva i progressi del giovane e benestante allievo.

Diversa dalle altre composizioni è quella del Sant’Elia profeta (27). Si tratta di un’icona di evidente impronta bizantineggiante, che può essere attribuita ad un artista veneto-cretese degli inizi dell’Ottocento, nella quale, oltre al permanere di moduli e schemi compositivi ar- caici quali la grotta e la figura del santo, è pos- sibile individuare anche aperture “moderne” come nel volto e nelle vesti del giovane. L’ope- ra, una tempera su tavola, raffigura, come da iscrizione, il profeta Elia in atteggiamento be- nedicente in una grotta mentre ammaestra un giovane discepolo con cartiglio, il che farebbe pensare anche all’iconografia apocrifa di San Giovanni che detta il prologo del suo Vangelo a Procoro.

Il Paesaggio con porto e villa (28) è una tela della seconda metà del XVIII secolo da riferire probabilmente ad un artista di ambito napoletano che ha visto e studiato le vedute di Gaspar van Wittel e dei “paesaggisti” romani. Raffigura sulla sinistra una villa circondata da pini marittimi e, sulla destra, un piccolo por- to con barche ormeggiate. In primo piano si notano due figure e un grande albero isolato mentre lo sfondo, arioso e luminoso, si carica dei tenui colori del tramonto.

Il Paesaggio fluviale (29), della prima metà del XVIII secolo, è da ascrivere invece ad un pittore di ambito meridionale dedito alla pit- tura di paesaggio, che sicuramente conosce- va l’opera di Lorrain e le novità delle vedute “romane”. Vi è raffigurato il corso di un fiume percorso da barche; sulla sinistra vi è un tipico paese con chiese e rovine, mentre sulla destra un tempio antico a pianta che ricorda il Tem- pio di Vesta del Foro Boario a Roma o il tempio della Sibilla a Tivoli. In primo piano, nell’om- bra della vegetazione, si muovono piccole fi- gure, mentre lo sfondo si riveste dei caldi co- lori del tramonto. Il tutto reso con spiccato senso per il pittoresco.

Infine, non sulla parete centrale, troviamo i Ritratti di Teresa Iannotti e Giovanni Ba- rone (30, 31). Le due tele, che formano una sorta di dittico, raffigurano i genitori dell’ar- chitetto Giuseppe Barone. Datate intorno alla seconda metà del XIX secolo, furono eseguite da Girolamo Nattino (1842-1913), pittore atti- vo in ambito meridionale. I due ritratti, com- posti e semplici, si inseriscono nel filone della ritrattistica di fine Ottocento, attenta, da una parte alla resa realistica del soggetto colto in atteggiamenti ed espressioni naturali, e dall’al- tra alle conquiste nell’ambito della fotografia, della quale adotta tagli e rese luministiche

Giuseppe Barone

“…in men di due anni, con ardente attività, si è ricostruito quasi a nuovo l’intero palazzo del Comune con nuova facciata alla foggia de’ palazzi fiorentini del Risorgimento, e vi si è ordinato il museo civico con la speranza che voglia schiudersi per questi luoghi un periodo di novella civiltà…”

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