La pinacoteca
La quadreria del Museo di Baranello è costituita da opere di varia epoca e scuola, molte delle quali restaurate di recente a cura della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise. In basso un riepilogo di tutte le opere.

La Sant’Agata (1), riconoscibile dai seni che portano i segni del martirio, è databile alla seconda metà del XVIII secolo. L’impostazione monumentale della Santa, accentuata dalla visione in scorcio dal basso, la vivacità delle tinte e gli effetti chiaroscurali riconducono il dipinto a un pittore napoletano stilisticamente vicino a Francesco Solimena e Francesco De Mura.
La piccola tela raffigurante la Danae(2), copia del celebre quadro di Tiziano (Museo di Capodimonte, Napoli), è opera napoletana da riferire alla fine del seicento e gli inizi del settecento, periodo in cui nella capitale del regno si diffonde l’uso di realizzare copie da artisti del cinquecento veneziano. Nel dipinto è rappresentato l’episodio, tratto dalle “Metamorfosi” di Ovidio, dell’unione tra Danae e Giove nelle sembianze di pioggia d’oro.

L’icona raffigurante il Transito della Madonna (3), si inserisce nella produzione tarda della scuola veneto-cretese. L’opera si caratterizza per la presenza di elementi arcaicizzanti, quali la rigorosa e rigida simmetria della composizione, a cui vanno ad affiancarsi aperture “moderne”, rintracciabili nella morbidezza dei volti degli angeli e nella resa diversificata delle loro vesti. La particolare iconografia, che si discosta da quella consueta della Dormitio Virginis, priva delle figure di Cristo e di Pietro e Paolo, conferma una datazione avanzata dell’opera tra il XVIII e il XIX secolo.
Giovanni Serritelli (1809-1874) è l’autore del dipinto raffigurante la battaglia navale di Lissa (4), combattuta il 20 luglio 1866 nei pressi dell’isola dalmata tra le navi della marina dell’Impero austriaco e quella del Regno d’Italia. L’artista si formò a Napoli, ove fu allievo dell’olandese Anton Sminck van Pitloo e sotto la sua guida frequentò la scuola di Posillipo che dette un nuovo impulso, a livello internazionale, alle rappresentazioni delle vedute marine. Accanto alla resa minuziosa dei dettagli e degli effetti luministici, nell’opera è evidente un’esaltazione del sentimento patriottico che risente del recente clima postunitario.

Le due piccole scene di genere con animali da cortile (5-6), su fondo paesaggistico richiamano la tradizione della natura morta napoletana seicentesca, i cui capofila furono Giovan Battista Ruoppolo e Giuseppe Recco. Le tele, da riferire probabilmente allo stesso artista, si discostano nella resa pittorica e formale dalla tradizione seicentesca, tanto da suggerire una datazione alla prima metà del XVIII secolo.
Il dipinto su rame raffigurante la Madonna con Gesù e San Giovannino (7), databile alla seconda metà del XVII secolo, viene attribuito da Barone ad Andrea Vaccaro (1604-1670) che, al di là dell’autografia dell’opra, è sicuramente il riferimento principale per il pittore di questa tela.
Ad un artista napoletano è da riferire la Madonna con bambino (8); il dipinto ripropone uno schema figurativo tipicamente cinquecentesco e riprende un motivo compositivo ed iconografico ispirato a modelli di Raffaello. L’esecuzione su rame consente di datare l’opera tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento.
Il dipinto raffigurante un raccolto e affettuoso colloquio tra San Giuseppe e il Bambino (9) si inserisce nel solco della tradizione della pittura sacra napoletana di fine Seicento – prima metà del Settecento tracciato da Luca Giordano e Francesco Solimena. La chiarezza dell’impianto compositivo, la compostezza formale, il sottile intimismo, la resa luminosa e la tenue gamma cromatica inducono ad atrribuire l’opera a Francesco De Mura (1696-1782), allievo del Solimena. Il dipinto potrebbe essere stato realizzato dal pittore napoletano dopo la sua esperienza torinese, a contatto con l’ambiente internazionale, e rococò della corte sabauda, per la quale lavorò nei primi anni quaranta del XVIII secolo.
La Madonna del Divino Amore (10), copia del celebre quadro che la critica attribuisce sia a Raffaello che all’allievo Giovan Francesco Penni detto il Fattore (Museo di Capodimonte, Napoli) è un dipinto da riferire a un pittore di buon livello legato all’ambiente artistico meridionale di pieno Settecento. La Madonna sorregge sulle ginocchia il bambino che benedice San Giovannino; a lato è la figura si Santa Elisabetta, mentre in secondo piano si intravede quella di San Giuseppe che assiste in disparte alla scena. Sulla sfondo, invece, si apre un ampio paesaggio.
Il dipinto intitolato da Barone Marina: veduta del porto(11), riferibile a un artista attivo tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, rientra nell’ambito della produzione di pittura del paesaggio affermatasi nell’ambiente partenopeo già nel corso del Seicento. I soggetti di tale produzione sono in genere vedute ideali di marine, animate da piccole figure che con la loro presenza segnano un paesaggio immerso in un’atmosfera di quiete. La scena qui raffigurata è caratterizzata dalla presenza di un’antica torre sulla destra, circondata da piccole abitazioni e da una nave in porto sulla sinistra.
La Scena pastorale (12) è attribuita dal Barone a Giuseppe Tassone (1645-1737), pittore di origini romane attivo a Napoli, specializzato nella realizzazione di scene di genere arricchite dalla presenza di ovini e bovini. L’attenzione al mondo animale è evidente anche nel dipinto della collezione Barone, in cui il paesaggio è appena sbozzato sullo sfondo e lo stesso pastore occupa un ruolo marginale rispetto al gruppo di capre, vere protagoniste della scena, rese con ampie e corpose pennellate, che illuminano con sprazzi di luce i candidi manti.
Il dipinto intitolato Osteria di campagna con cavalieri (13) raffigura una scena di genere ambientata all’aperto, nei pressi di una locanda, davanti alla quale si intrattengono personaggi di vario tipo, dai cavalieri a donne con bambini. Il soggetto e alcuni elementi figurativi, come la tipologia dell’edificio raffigurato, rimandano alla produzione di genere di provenienza fiamminga, riproposta dall’autore su un supporto di rame con risultati di buona qualità tecnica e formale. L’opera è databile tra la fine del Seicento e gli inizi del secolo successivo.

Giuseppe Barone
“…in men di due anni, con ardente attività, si è ricostruito quasi a nuovo
l’intero palazzo del Comune con nuova facciata alla foggia de’ palazzi
fiorentini del Risorgimento, e vi si è ordinato il museo civico con la speranza
che voglia schiudersi per questi luoghi un periodo di novella civiltà…”