La raccolta Barone

di Tommaso Evangelista (Si ringrazia per i contenuti qui presentati, tratti dalla rivista Archeomolise, Luglio / Settembre 2012 – N°12 – Anno IV – a cura di Gabriella di Rocco) 

Il museo civico di Baranello, nato dalla donazione della collezione che il 10 ottobre 1897 l’architetto Giuseppe Barone fece al Comune e alla cittadinanza baranellese, è un unicum in Molise e tra i pochi esempi in Italia di collezionismo ottocentesco arrivato integro ai nostri giorni. Data la sua peculiare conformazione e il suo particolare allestimento, prima di procedere con i successivi contributi nell’analisi delle singole sezioni è opportuno definirne la tipologia. 

Il termine museo deriva da mouseion (“casa delle muse”), ossia l’edificio che ad Alessandria d’Egitto era destinato ad ospitare gli studiosi. I musei d’arte hanno origine diverse ma deriva- no prevalentemente da tre “antenati”: i tesori, offerti ai templi antichi prima e alle cattedrali poi, le Wunderkammern, raccolte private basate sulla preziosità e la rarità degli oggetti ed infine le collezioni nobiliari. Il museo pubblico, pur basandosi sostanzialmente sul modello romano (i Musei Capitolini, la raccolta Albani progettata da Carlo Marchionni), nasce però in Francia nel periodo post-rivoluzionario e napoleonico quando si afferma per la prima volta il carattere integralmente collettivo del patrimonio storico-artistico della nazione e si progetta il Louvre, Muséum central des Arts, come luogo di educazione dove le opere trovano nuova giustificazione estetica, didattica e storica.

Nel caso di Baranello, quindi, più che di museo vero e proprio si dovrebbe parlare di collezione poiché le opere sono state raccolte secondo l’arbitrio e il gusto di un privato e solo successivamente hanno ricevuto una musealizzazione. Con la donazione, questa collezione diventa pubblica offrendo così ai cittadini opportunità di edificazione personale, di ispirazione, di celebrazione civile.

La raccolta messa insieme da Barone è una tipica raccolta ottocentesca, manifestazione dell’impianto scientifico classificatorio che mirava allo studio degli oggetti in base all’osservazione e alla misura e procedeva per sistemazioni del simile secondo le forme. Dopo una classificazione tipologica (reperti archeologi- ci, ceramiche, dipinti) e morfologica, le distinzioni in termine di ordine, identità, differenza, permettevano un ordinamento tassonomico degli oggetti e quindi un’esposizione che fosse quanto più possibile razionale e didattica allo stesso tempo. A differenza però del semplice accumulo quantitativo, nell’Ottocento muta la sensibilità nei confronti dei reperti intesi sempre più come strumenti di conoscenza; tra di loro, allora, cominciano ad instaurarsi inediti nessi volti a rilevare non tanto l’identità dei singoli manufatti quanto i profondi rapporti strutturali e culturali. Ai dipinti, per esempio, si inizia a pensare per “scuole” proponendo sequenze cronologiche; circa i manufatti archeologici, invece, ci si interessa dei contesti storici, del loro ruolo quali testimonianze della cultura materiale antica e dei vari rapporti formali (derivazioni, cause, mutamenti). Per- mane invece un certo gusto per il bizzarro e l’esotico tipico dei Cabinet de curiosités e delle Wunderkammern, vere e proprie “camere delle meraviglie”, nate in aria tedesca tra il Seicento e il Settecento come evoluzione degli studioli rinascimentali e che comprendevano, oltre ad opere d’arte antiche e moderne, anche differenti manufatti, oggetti particolari provenienti dal mondo della natura o creati dalle mani dell’uomo. Quelli che la natura stessa forniva erano detti naturalia (denti di Narvalo, animali con due teste, coralli, conchiglie giganti), quel- li realizzati artigianalmente, particolari per la loro originalità e unicità, per le tecniche o la lavorazione complicate, erano detti artificia- lia. Unitamente tali reperti erano mirabilia,

cose che suscitano meraviglia. Per inciso, dalla separazione di queste due categorie di oggetti si svilupperanno poi i due tipi principali di musei: i musei d’arte e di archeologia e i musei di scienze naturali. Tra le varie sotto-collezioni che vi si potevano rinvenire c’erano, inoltre, raccolte di libri e stampe rare, di cammei, fili- grane, stoffe, gioielli, ceramiche, monete antiche.

Nella raccolta Barone quindi si possono leggere tutta una serie di riferimenti alla storia del collezionismo e del gusto che vale la pena sottolineare per suggerire, una volta di più, come il valore del museo non risieda nel singolo elemento ma nell’intero insieme e nella modalità con la quale è stato musealizzato. A differenza del museo sineddoche, celebre espressione coniata da Umberto Eco per definire un museo incentrato su una sola opera alla quale si arriva dopo un percorso, nato per fini didattici ma sommerso da masse di turisti alla ricerca dell’opera più rappresentativa percepita qua- le icona “pop”, il museo di Baranello ha valore per il contesto nel quale sono calate le singole opere che se prese separatamente possono anche non rivelare qualità eccelse ma che nel complesso mostrano una ricchezza e una diversità che colpisce ed educa il visitatore.

l discorso non può che partire dal contenitore. La raccolta è ospitata nell’ex Palazzo Comunale situato in Via Santa Maria, strada principale del paese. Barone, nella sua prefazione al Catalogo dei reperti, così scrive: «in men di due anni, con ardente attività, si è ricostruito quasi a nuovo l’intero palazzo del Comune con nuova facciata alla foggia de’ palazzi fiorenti- ni del Risorgimento, e vi si è ordinato il museo civico con la speranza che voglia schiudersi per questi luoghi un periodo di novella civiltà». L’edificio quindi, progettato dallo stesso architetto, è un revival della tipologia del palazzo rinascimentale, con largo uso del bugnato oggi scomparso, che da una parte serve visivamente a distinguere il complesso dalle abitazioni in- torno, suggerendo al fruitore il fatto che si appresta ad entrare in un luogo destinato all’arte, e dall’altra richiama simbolicamente gli ideali comunali palesando la destinazione civica della collezione. 

Entrando e salendo la scala ci si trova subito di fronte ad un oggetto particolare che ben sintetizza l’eclettismo della raccolta: si tratta di una sorta di capriccio, posto sotto tre maschere in terracotta, che raccoglie frammenti di pitture pompeiane ricomposte, a mosaico, in una struttura di legno quadrata che poggia su un basamento nel quale sono collocati due piedi in terracotta. In questo caso allo studio della singola parte è stata preferita una visione complessiva degli oggetti che tutti insieme vanno a formare un nuovo reperto moderno. Giunti nella prima stanza lo sguardo si sofferma subito sulla pinacoteca: i quadri sono disposti a quadreria ovvero secondo una tipo- logia allestitiva, sviluppatasi dal Seicento in poi, che privilegia una visione complessiva dei dipinti collocati a parete, con spirito di horror vacui, in base a forma, dimensione e soggetto. Ecco pertanto come la collezione si sviluppa a partire da un nucleo centrale dove sono col- locate le opere più significative. Posto privilegiato occupa il San Girolamo del Ribera, ai due lati San Giuseppe col bambino e l’Estasi della Maddalena di scuola napoletana, dalle medesime cornici; in basso l’Assunta si presenta tagliata rispetto alla classica forma a pala d’altare poiché va ad inserirsi sotto il San Girolamo per non rompere l’armonia della parete. In basso, a scalare, sono collocati i quadri di più piccole dimensioni, anche questi disposti secondo i generi e secondo la logica della composizione che predilige una visione d’insieme. 

Sempre a parete quattro bronzetti su piedi- stallo arricchiscono la struttura. In fondo una libreria raccoglie svariati testi. E’ interessante soffermarsi su questo particolare poiché dalla selezione dei libri e dallo scrupolo classificatorio si riesce a comprendere anche l’interesse di Barone per una collezione che rispecchiasse i suoi gusti ma che fungesse anche da “repertorio d’arte” e luogo di studio. I tomi, infatti, trattano di svariati argomenti, dalla storia dell’arte all’archeologia, e sono accompagnati da diverse incisioni: molto presumibilmente in essi si possono ritrovare informazioni su tutti gli oggetti (o tipologie di oggetti) contenuti nella raccolta e quindi è possibile studiare e approfondire i reperti alla luce degli studi dell’epoca confrontando ipotesi ed attribuzioni con le supposizioni che lo stesso architetto ha la- sciato nel suo Catalogo. Emerge allora come questa raccolta, oltre all’idea di collezionismo ottocentesco, si ispiri anche al modello del sapere enciclopedico settecentesco che trova il suo apice nell’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers di Diderot e D’Alambert, compendio universale del sapere che largo spazio riservava appunto alle arti. Come scrive lo stesso Barone sul suo Catalogo, infatti, «questi musei artistici e industriali (hanno) lo scopo di diffondere lo studio dei prodotti dei vari periodi storici delle nazioni, di aprire la mente all’invenzione e gli occhi al sentimento del bello». 

E ancora «il museo civico di Baranello, di questo mio caro paesello, concorrerà anch’esso a salvare e custodire i preziosi saggi delle arti e delle industrie dei nostri antichi padri, illustrandoli e divulgandoli a beneficio dell’odierno progresso. E quest’opera di patria carità, ho fede, sarà rimuneratrice nello svolgersi delle industrie e meritoria al cospetto della posterità». Unito alla biblioteca un piccolo medagliere, progettato dallo stesso Barone, mostra medaglie che riguardano la sua carriera. Grande cura è riservata alle vetrine ricavate in armadi appositamente disegnati e fatti realizzare dall’architetto che occupano metà del- la prima sala e tutto il perimetro della seconda presentando diverse tipologie di reperti. Ogni vetrina reca in alto un numero romano e in basso una piccola targa. Gli oggetti in esse con- tenuti sono molteplici, si passa dai vasi attici a figure nere e rosse alle porcellane di diverse fabbriche europee, dai bronzi romani agli arredi sacri, dalle statuette in bronzo alle figure presepiali, e non mancano oggetti di provenienza extraeuropea e il classico medagliere depredato durante l’occupazione tedesca.

Emerge in questo accumulo di testimonianze materiali, solo apparentemente caotico, uno spiccato spirito classificatorio, sottolineato dalle diverse stoffe di vario colore che tappezzano gli interni degli armadi e che mettono in risalto, anche visivamente, la diversità degli artefatti, l’idea enciclopedica della raccolta e il gusto personale del collezionista. Alcune vetrine, inoltre, sembrano distaccarsi dal rigoroso ordinamento e si avvicinano maggior- mente all’idea della Wunderkammern poiché, mancando caratteristiche comuni, i manufatti sono presentati con maggiore libertà espositiva. E’ il caso, per esempio, della vetrina XXI, che presenta oggetti di ambito religioso ma anche una variegata raccolta di quei cosiddetti artificialia che, proprio per la loro disparata provenienza, sfuggono a ordinamenti.

A conclusione di questa breve e doverosa premessa emergono tre caratteristiche fondamentali del museo e dei suoi beni: la natura eclettica e allo stesso tempo classificatoria della raccolta, da collocarsi tra spirito collezionistico e desiderio enciclopedico; l’idea del carattere civico delle opere destinate a forma- re i cittadini all’arte e alla storia; l’uso didattico dei reperti chiamati ad essere segni reali e studiabili per lo storico e oggetti evocativi e auratici per l’amatore. Se a ciò uniamo l’infinita cura destinata da Barone alla musealizzazione e alla presentazione-esposizione (la cura per le bacheche, la progettazione delle vetrine, il ruolo della biblioteca) emerge l’idea di un museo completo, un museo strutturato come una sorta di ipertesto. Il concetto che un oggetto possa rimandare ad un altro, per conformità o differenza, e che possa essere successiva- mente ritrovato e approfondito sui libri e sulle stampe messe a disposizione, la stessa idea del colore delle tappezzerie e i vari ausili didattici pensati appositamente per i reperti permetto- no uno studio in profondità dell’opera, con tutta la collezione che viene a strutturarsi come una vera e propria architettura del sapere. Se all’inizio avevamo accennato al museo-sineddoche, tipico dell’età post-moderna, a Baranello ci troviamo di fronte ad un museo-ipertesto che, pur di antica formazione, mostra una sor- prendente modernità capace di restituire la legittima importanza ai reperti e la giusta centralità al visitatore.

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